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L’idea alla base dell’interesse antropologico-filosofico del gruppo di ricerca è che non si dà antropologia filosofica, in un contesto secolarizzato e non-sostanzialista, se non come interrogazione relativa ai modi di darsi dell’anthropos nel mondo e agli effetti retroattivi che questi modi hanno sulla costituzione stessa dell’essere umano in quanto vivente e in quanto soggetto: pensare l’umano significa innanzitutto pensare il carattere mediale, tecnico e immaginale della condizione umana.

Il vivente umano si contraddistingue per la capacità di plasmare attivamente e riflessivamente le forme del suo rapporto col mondo circostante, producendo ambienti tecnici che riconfigurano a loro volta la sua struttura sensibile e cognitiva, rendendo possibili nuove forme di vita e nuovi orizzonti culturali.

È, quindi, solo analizzando le pratiche, i dispositivi e i processi che mediano l’interazione tra l’essere umano e l’ambiente, che è possibile tentare di rispondere all’ultima domanda kantiana – “Che cos’è l’uomo?” – e al contempo tenere conto dei mutamenti antropologici che si danno di pari passo con quelli del mondo simbolico, materiale e sociale in cui ci troviamo.

 In tale ottica diventa centrale l’analisi di specifiche produzioni mediali, tecnologiche, simboliche, artistiche e concettuali, che a sua volta permetterà di analizzare azioni, reazioni, effetti, trasformazioni e rappresentazioni che determinati gruppi umani hanno intrattenuto e intrattengono con le immagini, con differenti strutture mediali e con dispositivi tecnici di diversa natura.

L’obiettivo del gruppo di ricerca, sul versante antropologico, è quindi di interrogarsi su ciò che differenti gruppi umani fanno e subiscono attraverso le tecniche, i media e quel particolare medium che è l’immagine: sulla loro produzione, diffusione e interpretazione in diversi contesti sociali e culturali.

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